Assegnazione della casa familiare

A cura dell’Avv. Barbara Lentini

In caso di divorzio o separazione con figli, l’assegnazione della casa familiare è un tema delicato, che pone questioni di notevole interesse sia giuridico che pratico. Abbiamo avuto modo di approfondire cosa prevede la normativa circa l’assegnazione della casa familiare  e i diritti dei figli minorenni: oggi vediamo in modo più concreto quali sono i criteri in base ai quali viene stabilito il diritto di abitare l’immobile precedentemente occupato dall’intero nucleo familiare.

Le norme che regolano l’assegnazione della casa familiare

Le norme che regolano l’assegnazione della casa familiare in caso di separazione o divorzio sono due:

  • L’art. 155 quater Cod. Civ. (introdotto dalla L. 54/2006) che stabilisce che il godimento della casa familiare sia attribuito tenendo “prioritariamente conto dell’interesse dei figli” ed inoltre che “dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà”;
  • L’art. 6 L. 74/1987 che stabilisce che “l’abitazione della casa familiare, spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con i quali i figli convivono oltre la maggiore età. In ogni caso, ai fini dell’assegnazione, il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione, favorendo così il coniuge più debole”.

Da queste definizioni emerge che l’elemento determinante nella attribuzione del diritto di permanenza nell’abitazione familiare è il benessere del minore, ovvero il suo diritto non solo a vivere in un’abitazione idonea alla crescita, ma anche a preservare il più possibile la continuità delle abitudini quotidiane.

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Interpretazione delle norme per l’assegnazione della casa familiare

Non può, però, sfuggire al lettore che entrambe le norme fanno riferimento all’interesse del minore quale criterio da adottare in via prioritaria e/o preferenziale per l’assegnazione della casa familiare.
L’utilizzo di tali termini ha generato una grande confusione interpretativa che vede contrapposte due tesi: una prima tesi (maggioritaria) sostiene che l’assegnazione della casa in presenza di minori possa avvenire solo in favore del coniuge presso il quale i figli sono collocati, e solo in assenza di minorenni possa intervenire un criterio sussidiario.

Una seconda tesi (minoritaria) che sostiene che il Legislatore con l’uso di tale terminologia abbia voluto attribuire al Giudice il potere discrezionale di valutare la prevalenza di un interesse diverso su quello di cui il minore è portatore.

Come detto, l’orientamento maggioritario è quello che ritiene essere l’interesse del minore l’unico criterio di attribuzione dell’assegnazione familiare che, pertanto, verrà data in godimento al coniuge presso il quale il minore sarà collocato, a prescindere dalla titolarità del diritto di proprietà.
Ciò significa che la casa può essere assegnata al genitore collocatario anche se la proprietà è dell’altro coniuge.
Tali tutele risultano ormai pacificamente riconosciute anche in favore di figli nati da coppie non sposate al verificarsi dello scioglimento del rapporto.

Assegnazione della casa familiare di proprietà di terzi

È bene precisare che la giurisprudenza è oggi costante nell’affermare che qualora sia stata adibita a casa coniugale un’abitazione di proprietà di terzi (es. genitori di uno dei coniugi), il diritto all’assegnazione di cui all’art. 337 sexies C.C. non subisce limitazioni di sorta, essendo invece garantita la permanenza nell’immobile dei figli e del genitore collocatario.
Il rapporto tra proprietario dell’immobile ed assegnatario viene ricondotto alla fattispecie del comodato d’uso.
In questo caso, il diritto di assegnazione della casa coniugale viene meno allorquando il beneficiario non vi abiti stabilmente, contragga nuove nozze o conviva more uxorio e, ovviamente, quando il minore raggiunga la maggiore età e l’autosufficienza economica.
Il mutare delle circostanze che costituiscono presupposto dell’assegnazione della casa familiare non determinano la revoca dell’assegnazione della casa familiare per il solo fatto di verificarsi, ma necessitano (in assenza di accordo tra le parti) della pronuncia del Tribunale.

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