La stipula di un contratto di locazione è il risultato di un percorso fatto di ricerche e di valutazioni da parte di entrambe le parti interessate. Non è solo l’inquilino a dover valutare le caratteristiche dell’immobile e la congruità della spesa mensile: anche per i proprietari è importante individuare inquilini con i quali instaurare un rapporto basato su fiducia e correttezza.
Una scelta accurata è fondamentale per evitare il rischio di imbattersi in un inquilino moroso: le conseguenze possono essere gravose per il proprietario e la risoluzione del problema può avere tempi lunghi. Per questo è bene conoscere tutte le modalità di tutela in caso di morosità: tra queste, la clausola risolutiva espressa.
Cos’è la clausola risolutiva espressa?
La clausola risolutiva espressa è una clausola inserita all’interno del contratto di locazione, con la quale entrambe le parti prevedono la risoluzione del contratto nel caso in cui una obbligazione non venga adempiuta, o non venga adempiuta secondo le condizioni previste.
Ciò significa che, in caso di inquilino moroso, il proprietario dell’immobile può scegliere se mantenere il contratto in essere oppure avvalersi della clausola risolutiva e sciogliere il contratto. Questa clausola permette al proprietario di tornare in possesso dell’immobile e dare luogo, se lo desidera, ad un nuovo contratto con un nuovo inquilino.
Per evitare che il proprietario decida di avvalersi della clausola risolutiva, ad ogni modo, all’inquilino resta la possibilità di sanare la propria posizione fino a te volte all’interno di un quadriennio: se questo avviene la risoluzione del contratto è esclusa.
Se, invece, il proprietario ricorre alla clausola risolutiva espressa, dovrà comunicare la cessazione del contratto all’Agenzia delle Entrate entro 30 giorni, tramite l’apposito Modello RLI.
Inquilino moroso? La clausola limita anche le conseguenze fiscali
Dopo aver fatto valere la clausola risolutiva espressa in caso di inquilino moroso, il proprietario dell’immobile può tutelarsi anche dal punto di vista fiscale. Se i pagamenti dell’affitto non percepiti superano le due mensilità, il proprietario dell’immobile può evitare di dichiarare il reddito relativo ai canoni non percepiti prima dello scioglimento del contratto.
In questo modo non dovrà versare delle imposte corrispondenti a un reddito che, di fatto, non è mai stato percepito. Questa opzione può essere messa in atto, però, soltanto in seguito ad una convalida di sfratto per morosità, a seguito della decisione di avvalersi della clausola risolutiva.
Inoltre, se già sono state versate delle imposte sui canoni di locazione non percepiti, in seguito alla convalida di sfratto il proprietario può rivendicare il relativo credito d’imposta. La clausola risolutiva espressa può essere inserita anche nei contratti di locazione di immobili a destinazione diversa da quella abitativa: in questo caso, però, non è possibile recuperare il credito d’imposta.
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